È uscito il sequel: Si fa presto a dire 'Resta!'

Dopo una lunga attesa, finalmente in libreria l'atteso sequel di Si fa presto a dire 'Parti!':

"Si fa presto a dire 'Resta!'"

La pagina del libro qui

Disponibile alla Libreria Friuli a Udine!

Il libro è disponibile sugli scaffali della Libreria Friuli a Udine in Largo dei Pecile, oppure su ordinazione (sia cartaceo che ebook - si veda riferimenti in questa pagina).

Si fa presto a dire 'Parti!'

Dai primi smarrimenti nel dedalo di una burocrazia che non ti aspetti, allo scontro con gli stereotipi di una capitale globale. A raccontare in prima persona come si diventa un emigrante moderno ecco la storia di un informatico che a quarant'anni, pur avendo un lavoro sicuro e una relazione stabile, decide di rimettersi in gioco. Richiamato dalle sirene della City di Londra, dove le sue competenze professionali contribuiscono a spostare ogni giorno milioni e milioni di sterline, l'autore racconta come si esce dalla "comfort zone" di un impiego sicuro e di abitudini consolidate e si riparte da zero. Il successo nel lavoro non annulla però le frustrazioni di chi si trova a combattere contro i meccanismi spersonalizzanti della metropoli: e quando dovresti sentirti "sul tetto del mondo" arrivano le prove della vita a farti sentire impotente. Per gli amici sei un eroe, ma quando gli affetti più cari vengono a mancare, anche la più grande città d’Europa finisce per starti stretta.

Dicono del libro...

“Si fa presto a dire “Parti!””, l'opera prima di Carlo Della Giusta, racconta l’emigrazione 2.0 in chiave dissacrante ed emozionante al tempo stesso.

Il libro contiene “Tutto quello che il ministro Poletti poteva conoscere ma non ha mai osato chiedere”, scherza l’autore, nel presentare quello che non è un «manuale su come espatriare con successo» né una fiction romanzata sui cervelli in fuga.

Si tratta invece della prima sistematica riflessione a 360 gradi, senza orpelli retorici né cedimenti moralistici, su quanto cercare fortuna in un altro paese stia tornando ad essere necessario e difficile oggi come ieri. E non solo per chi è giovane, ma anche per chi semplicemente vuol mettersi alla prova con l’eccellenza in molti ambiti professionali di ricerca.

La storia di Carlo cattura perché è emblematica e al tempo stesso singolare: parte per l’estero come già suo padre e ancor prima suo nonno, e miriadi di altri friulani “liberi di doversene andare”, come raccontava in versi Leonardo Zanier oltre mezzo secolo fa. Lui non si muove per bisogno ma perché i cacciatori di teste londinesi hanno messo gli occhi sulle sue competenze di programmatore informatico di altissimo livello.

Finisce così a lavorare a Londra, nella City dove con un solo clic si movimentano in un attimo milioni di sterline: ma anche se al posto della valigia di cartone oggi ci sono 24 ore e ipad, il tormento e l’estasi di un’avventura che cambia la vita restano quelli dei nostri antenati anche per un emigrante di terza generazione.

Della Giusta racconta quell’esperienza in presa diretta, in tutti i suoi aspetti esaltanti e grotteschi, con un’analisi lucida accompagnata sempre da una sferzante ironia, segno che lo humour inglese è stato ben assimilato.

L’autore mette il dito nella piaga delle contraddizioni delle due società, quella italiana ma anche quella inglese, e alla fine il libro risulta gustoso, divertente ed anche emozionante. Carlo ha infatti vissuto nel suo periodo londinese anche alcune delle esperienze più intense che toccano nella vita, dalla perdita di persone care alla nascita di un nipote. Tutte cose che a distanza si percepiscono con una prospettiva del tutto distorta, che nemmeno Skype e tutti i social “real-time” sono capaci di correggere.

Si fa presto a dire 'Parti!'
Un libro di Carlo Della Giusta
ISBN | 978-88-92637-00-9
Ebook ISBN | 978-88-92637-33-7

Prefazione di Walter Tomada

Fotografie e progetto grafico copertina di Ivano Di Maria

 

PREFAZIONE di Walter Tomada

Non è un saggio e non è un romanzo: non è un diario e nemmeno un manuale su “come si emigra con successo”. Questo libro non accetta etichette, è originale come tutte le singole varianti di un’esperienza che sta diventando sempre più comune: ossia quella dei tanti Carlo che – come il protagonista di queste pagine – a un certo punto si rendono conto di poter trovare una strada solo lontano da qui. Da quell’Italia e da quel Friuli che spendono centinaia di migliaia di euro pro-capite per formare quei cervelli che poi regalano al mondo quasi vantandosi di uno spreco che fa impallidire anche i costi della politica e le baby pensioni, e che solo il tempo condannerà adeguatamente. Chi non si accontenta di buttare al macero studi e competenze, cerca di metterli in pratica altrove: chi ha sogni e aspirazioni di non piccolo cabotaggio, sceglie di realizzarli in una seconda patria che talvolta però può rivelarsi matrigna.

Qui da noi il dibattito della cronaca è totalmente monopolizzato da un’altra immigrazione, quella di cui ci illudiamo di essere diventati il ricettacolo. Del nuovo esodo di 400 friulani ogni mese ben pochi si occupano. Del resto chi si illudeva che gli italiani, dopo un destino secolare di emigrazione, avessero smesso i panni dei cercatori di fortuna, fa fatica a ricredersi. Ma la crisi d’inizio millennio ha riportato a galla i biglietti di sola andata per terre mai abbastanza promesse, e per avventure sempre incerte e difficili. A quest’emorragia di talenti, in atto nel silenzio generale, il Paese reagisce come meglio sa, ossia mettendo la testa sotto la sabbia. Aspettando che passi, meglio non vedere “La meglio gioventù” che se ne va.

Tanti se ne vanno per scelta, altri per bisogno, alcuni per capriccio. C’è chi però il virus della scoperta ce l’ha nel DNA. E non certo perché discende da esploratori da leggenda. L’autore di queste pagine appartiene a una famiglia che ha assaggiato il duro pane dell’emigrazione: l’ha fatto suo padre, e prima di lui il padre di suo padre. Loro affrontavano traversate oceaniche di mesi, lui oggi in un’ora e mezza raggiunge comodamente Londra: ma il salto nel vuoto, pur nella diversità dei contesti, resta il medesimo, ed è proprio questo il filo rosso che congiunge queste tre generazioni di “Libars di scugnî lâ”, “Liberi di doversene andare”, secondo la felice sintesi di Leonardo Zanier, che titolò così una sua capitale raccolta poetica del 1964.

Zanier aveva sotto gli occhi gli emigranti con la valigia di cartone, mentre ai migranti nel villaggio globale 2.0 bastano una 24 ore e un pc. Non per questo però si affievolisce quel paradossale crocevia interiore tra l’ansia di far vedere quello di cui si è capaci e la nostalgia canaglia che affiora nei momenti più impensati e disintegra ogni solidità. Ci sono infatti delle soglie emotive che ai migranti di oggi fanno molto più male che quelli di un tempo. Un secolo fa si veniva a sapere della nascita di un figlio o di un nipote o della perdita di un congiunto a mesi di distanza, il tempo di percorrenza di una lettera sigillata a ceralacca, e l’intervallo decantava e smorzava gioia e sofferenza. Oggi invece l’epoca dell’interattività simultanea, dove ci si può sentire (e vedere) a migliaia di chilometri anche più volte al giorno, condanna invece a una sorta di impotenza “real time” quando coloro che amiamo sono lontani e nulla ci può permettere di ricongiungerci a loro per condividerne il tormento o l’estasi. Della Giusta lo spiega benissimo in queste pagine. La solitudine del “cervello in fuga” non si smorza, ma si amplifica con l’invasività dei mezzi di comunicazione: la “saudade” al tempo di internet non scompare, cambia solo pelle. Skype e Whatsapp non la curano, sembrano antidoti ma in fondo hanno l’effetto del sale sulla piaga.

Può sembrare che anche l’adattamento a un nuovo contesto di vita possa essere più facile in un mondo interconnesso. Ma l’utopia di un mondo senza confini varrà per la finanza che sposta miliardi di dollari da un capo del mondo all’altro, non certo per un ragazzo che accetta la sfida di dimostrare quello che vale confrontandosi con la City di Londra, il tetto del mondo finanziario mondiale che non ti aspetteresti mai così duro da scalare. Ma oltre a competenze e serietà professionale, viene in aiuto un tipico prodotto inglese: l’ironia, lo humour che condisce tutte queste pagine rendendo la lettura piacevole e leggera soprattutto nei passi che smascherano le contraddizioni di due mondi che Della Giusta analizza raccontandone luci ed ombre. Tutto sta nel non farsi né abbagliare dalle prime, né scoraggiare dalle seconde: e queste pagine vanno proprio in questa direzione.

INDICE

PREFAZIONE di Walter Tomada
INTRODUZIONE di Carlo Della Giusta

Capitolo I COME SI DIVENTA “CERVELLO IN FUGA”
      I recruiter inglesi
      Rachael
      Ma ne vale la pena?
      Quando meno te lo aspetti
      La lettera di referenza
      Adesso si fa sul serio
      Ho un annuncio da farvi
      
Capitolo II SI PARTE
      Otto gennaio
      Alberto
      Arrivo a Londra
      Perso, fuori dalla “comfort zone”
      
Capitolo III TUTTO È DIVERSO
      Immigrato, sì, ma non clandestino
      Le anatre in fila
      Sei un marinaio?
      Indirizzo in stato operativo
      
Capitolo IV LONDRA DA LONDINESE
      Il primo giorno di lavoro
      Restituitemi il bancomat!
      Chi s’incontra sul London Bridge
      Nuovo lavoro, nuovi colleghi
      Shock culturale
      Un cognome, tanti inconvenienti
      La lingua inglese, una passione
      
Capitolo V NEL FRATTEMPO, IN ITALIA
      Le videochiamate che sembrano impossibili
      Zio
      Una nascita, a distanza
      
Capitolo VI STABILIRSI A LONDRA
      A.A.A. dimora cercasi
      Le cose che funzionano
      Casa, dolce casa
      Grazie mille, signori Williams
      Una vita normale, di nuovo
      Non serve saper contare
      
Capitolo VII GIORNO DOPO GIORNO
      Ciò che è giusto, è giusto
      Lati assurdi
      Questi strani informatici
      Le persone che ho conosciuto
      Una presentazione fatta ai recruiter
      
Capitolo VIII SUL PIATTO DELLA BILANCIA
      Due regine a Londra
      Enore
      Papà